Innovazione Nell’era della Crisi
Innovazione Nell’era della Crisi
Dalla Stalla alla Start-up
1. Introduzione
Nell’era della continua crisi fare impresa nel bel paese è diventato veramente un’impresa e non solo a causa della mancanza di piani industriali adeguati, ma anche a causa della politiche di “privatizzazione” che hanno infettato lo stesso tessuto imprenditoriale e di fatto, smantellato una delle “quarte potenze al mondo”. Inoltre il panorama internazionale caratterizzato da mutamenti politici ed economici (vedi la crisi in Sudamerica in primis nda), non ha di certo aiutato.
Con ciò noi vogliamo credere che si possa ancora fare impresa e farla bene in Italia e per questo abbiamo preso quest’iniziativa di dedicare qualche pillola di conoscenza a chi è digiuno della materia e confrontarsi con chi, invece, ha esperienza nel settore.
2. l’Attuale Panorama Socio-Economico e Normativo
In Italia risultano in uno stato di povertà assoluta 1 milione 800mila famiglie per un totale di oltre 5 milioni di individui. I dati appaiono pressoché stabili se confrontati con quelli del 2017 .
E’ quanto emerge dal report 2019 della Caritas su Povertà ed esclusione sociale reso noto in occasione della Giornata Mondiale dei Poveri.
E mentre gli italiani si impoveriscono ogni giorno che passa, in europa cresce l’offerta dei servizi digitali anche se l’Italia si attesta ad un 24mo posto.
La trasformazione digitale fa fatica a decollare. Questo scenario impatta sulla produttività del Paese: dal secondo trimestre 2013 al quarto 2017 l’Italia ha registrato un tasso di crescita congiunturale pari in media a +0,2% (contro lo 0,4% dell’Uem), gli investimenti sono cresciuti a un tasso medio dello 0,5%, contro lo 0,9% dell’Ue.
Il report trimestrale del Mise, aggiornato al 30 Settembre 2019, frutto della collaborazione tra Ministero (DG per la Politica Industriale) e InfoCamere, con il supporto del sistema delle Camere di Commercio (Unioncamere) dedicato ai trend demografici e alle performance economiche delle
startup innovative, ha registrato un aumento nella popolazione delle startup stabilmente sopra quota diecimila. Al 30 settembre 2019 se ne contano 10.610, il 2,9% di tutte le società di capitali di recente costituzione. La Lombardia è la regione trainante, la sola provincia di Milano, con
1.955, rappresenta il 18,4% della popolazione, più di qualsiasi altra regione, solo il Lazio supera quota mille, in gran parte localizzate a Roma (1.155, 10,9% nazionale). Tuttavia, la regione con la maggiore densità di imprese innovative è il Trentino-Alto Adige, dove il 4,9% di tutte le società
costituite negli ultimi 5 anni è una startup. Il dato veramente positivo interessa il mercato degli investimenti, infatti, presentano un tasso di immobilizzazioni – uno dei principali indicatori della propensione a investire delle aziende – oltre sei volte più elevato rispetto alle altre aziende
comparabili.
Cosa stanno ad indicare tutti questi dati? Si smentiscono tra loro? O vanno letti sotto un’altra luce? Gli interrogativi da porsi sono molti, ma sicuramente la risposta non è univoca.
Purtroppo lo spazio in rubrica è poco ed il tempo pure pertanto andremo diretti al punto. Manca il personale qualificato e quello esistente viene assunto er svolgere mansioni dequalificanti. La realtà però va oltre la fantasia sopratutto nel nostro Paese. Dalle rilevazioni Istat dei flussi annuali di assunzioni per il triennio 2014 – 2016 delle imprese italiane, si è calcolata una misura del grado di disallineamento tra il titolo di studio conseguito
dagli assunti e quello più richiesto dalle imprese per la medesima professione. Nel triennio il fenomeno ha interessato più della metà (53,5%) delle assunzioni delle imprese italiane: la diffusione della sovraistruzione (31,6%) è maggiore di quella della sottoistruzione (21,8%), soprattutto per gli under 29 (per gli over 49 prevalgono i sottoistruiti). La maggior diffusione del fenomeno della sovraistruzione nei settori a più alta
intensità di conoscenza (31,4%) e tecnologia (42%) si può leggere come il sovrapporsi di due fenomeni: la capacità strategica delle imprese in tali settori di investire e attrarre professionalità qualificate e l’eccesso di offerta di capitale umano che il nostro sistema produttivo non riesce ad
assorbire.
Negli ultimi cinque anni, dicono i dati del rapporto istat del report sulla mobilità interna e migrazioni internazionali, sono oltre 244mila i giovani
over 25 che hanno lasciato il paese, di cui il 64% con titolo di studio medio-alto. In forte aumento tra il 2013 e il 2017 il numero di emigrati diplomati (+32,9%) e laureati (41,8%). Secondo l’istituto di statistica, tale fenomeno dipende “in parte dall’andamento negativo del mercato del
lavoro italiano”, ma anche dalla nuova “ottica di globalizzazione” che, spinge i giovani più qualificati a “investire il proprio talento nei Paesi esteri in cui sono maggiori le opportunità di carriera e di retribuzione”.
Esportiamo le competenze e usiamo male quelle in patria. Altro elemento su cui riflettere è il disallineamento (o missmatch per i fanatici del bilinguismo culturale) tra il mondo universitario (giovani laureati) e l’ingresso nel mercato del lavoro. Infatti, sono numerose le micro-imprese (il 90% del tessuto imprenditoriale italiano è fatto da imprese con meno di dieci dipendenti) che cercano personale altamente qualificato e aggiornato senza trovarlo. Ad inizio 2019, il bollettino Excelsior realizzato da Anpal e Unioncamere ha registrato che il 31% delle aziende riscontra “difficoltà di reperimento” per 1,2 milioni di contratti programmati nei primi tre mesi del 2019, con un fabbisogno insoddisfatto di figure tecniche, scientifiche e ingegneristiche. Un dato che fa effetto, se si considera che il tasso di
disoccupazione giovanile resta – saldamente – superiore al 30%. Dunque i giovani non si focalizzano su quello che sono le materie Stem ( science, technology, engineering, maths ) che latitano dalle nostre scuole superiori e università.
In Italia circa il 40% dei lavoratori non sono compatibili con le qualifiche del loro impiego, ma la sorpresa è che la quota di sottoqualificati (20%) è praticamente identica a quella dei sovra-qualificati (19%): lavoratori giovani, e meno giovani, con talenti che non riescono a essere assorbiti o valorizzati dal sistema delle imprese italiane. Per un professionista al di sotto delle attese dei datori di lavoro, ce n’è uno che si scontra su un sistema incapace di premiarlo.
Questo è un problema strutturale che interessa il processo > istruzione > mercato del lavoro > azienda.
Vi è da chiarire che le imprese ( e quindi gli imprenditori) ci mettono il loro.
Infatti, sia la formazione che la ricerca di finanziamenti al di fuori dei normali canali di credito in Italia è poco e/o nulla.
Le imprese formano poco e male i propri dipendenti a volte con corsi da svolgere in e-learning oppure con corsi gratuiti oppure a spese del dipendente.
Pertanto, come abbiamo sempre dichiarato, vi è un sottostrato culturale da “grattare” via e cominciare a pensare che gli utili aziendali debbano essere reinvestiti in formazione continua ed istruzione qualificata. Si dovrà cambiare la “mentalità del Paese”, frase di cui tutti quanti se ne
riempono la bocca, ma che pochi applicano. Tuttavia il tessuto imprenditoriale virtuoso non manca ed è stato fatto molto, mi vengono in
mente le parole di Luigi Einaudi “che cosa è un mercato”, dove veniva rappresentata la “piazza” in una fiera di paese: “ […]Quella fiera è il mercato, ossia, un luogo dove a giorno fisso e noto per la gran cerchia di paesi intorno, convengono acentinaia i camion, carri ed i carretti dei
venditori carichi di merce”.
3. Le Start-up Innovative, Le Regole.
Come abbiamo detto il panorama italiano è fatto da micro imprese e pmi, ma ciò non significa che queste imprese non portino innovazione.
Da fine 2012, con l’entrata in vigore del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, l’Italia si è dotata di una normativa organica volta a favorire la nascita e la crescita dimensionale di nuove imprese innovative ad alto valore tecnologico. Il rapporto Restart, Italia! del Ministro dello Sviluppo
Economico ha focalizzato negli artt. 25-32 del decreto-legge n. 179/2012 il nucleo di un vero e proprio “Startup Act italiano”. Le nuove imprese (startup) innovative godono di un quadro di riferimento dedicato in materie come la semplificazione amministrativa, il mercato del lavoro, le agevolazioni fiscali, il diritto fallimentare. Larga parte di queste misure sono estese anche alle PMI innovative, cioè a tutte le piccole e medie imprese che operano nel campo dell’innovazione tecnologica, a prescindere dalla data di costituzione o dall’oggetto sociale.
La norma come intesa nel suo assetto originale ha subìto diversi aggiornamenti normativi, che ne hanno potenziato l’impianto complessivo senza intaccarne i punti principali. Da ultimo si ricorda il Piano Industria 4.0 e il lancio di nuovi Fondi per l’innovazione e le tecnologie emergenti.
Dunque, le startup innovative sono imprese di nuova costituzione che svolgono attività di sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico. A questa tipologia d’impresa, che deve possedere specifici requisiti, sono riconosciute misure agevolative, sia nella fase di avvio che in quella di sviluppo. Le startup innovative devono essere società di capitali (Srl, Spa, Sapa), costituite anche in forma
cooperativa, non quotate su mercati regolamentati o su sistemi multilaterali di negoziazione.
Una panoramica degli elementi costitutivi è la seguente:
– impresa nuova o costituita da non più di 5 anni;
– residenza in Italia o in altro Paese UE, se con sede produttiva o filiale in Italia fatturato annuo inferiore a € 5 mln;
– non quotata in un mercato regolamentato o in una piattaforma multilaterale di negoziazione;
– divieto di distribuzione degli utili;
– non è risultato di fusione, scissione o cessione di ramo d’azienda;
– innovazione tecnologica come oggetto sociale esclusivo o prevalente;
Infine, una startup è innovativa se rispetta almeno 1 dei seguenti 3 requisiti:
1) ha sostenuto spese
in R&S e innovazione pari ad almeno il 15% del maggiore valore tra fatturato e costo della
produzione;
2) impiega personale altamente qualificato (almeno 1/3 dottori di ricerca, dottorandi
o ricercatori, oppure almeno 2/3 con laurea magistrale);
3) è titolare, depositaria o licenziataria di
almeno un brevetto o titolare di un software registrato.
Sul sito del Mise è possibile trovare tutti dati per l’avvio delle startup innovative.
Tuttavia questo nuovo tessuto imprenditoriale fatica a trovare la propria strada e come abbiamo visto, dati alla mano nel § 2, le startup innovative faticano a decollare.
Nonostante i dati è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 244 del 17 ottobre 2019 il decreto 30 agosto 2019 del Ministero dello Sviluppo Economico che modifica il decreto del 24 settembre 2014 con cui si è dato avvio ad un apposito regime agevolativo finalizzato a sostenere la nascita e
lo sviluppo delle start-up innovative.
Il decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale, modificando l’art. 5 del decreto del 24 settembre 2014, considera ammissibili alle agevolazioni i piani d’impresa:
– caratterizzati da un significativo contenuto tecnologico e innovativo;
– mirati allo sviluppo di prodotti, servizi o soluzioni nel campo dell’economia digitale,
dell’intelligenza artificiale, della blockchain e dell’internet of things;
– finalizzati alla valorizzazione economica dei risultati del sistema della ricerca pubblica e privata.
Inoltre i piani d’impresa devono prevedere spese ammissibili, al netto dell’IVA, di importo non superiore a euro 1.500.000,00 (unmilionecinquecentomila) e non inferiore a euro 100.000,00 (centomila).
Sono ammissibili alle agevolazioni le spese relative a:
– immobilizzazioni materiali quali impianti, macchinari e attrezzature tecnologici, ovvero tecnico-
scientifici, nuovi di fabbrica, purché coerenti e funzionali all’attività d’impresa, identificabili singolarmente ed a servizio esclusivo dell’iniziativa agevolata;
– immobilizzazioni immateriali necessarie all’attività oggetto dell’iniziativa agevolata;
– servizi funzionali alla realizzazione del piano d’impresa, direttamente correlati alle esigenze
produttive dell’impresa, ivi compresi i servizi di incubazione e di accelerazione d’impresa e quelli
relativi al marketing ed al web-marketing;
– personale dipendente e collaboratori a qualsiasi titolo nella misura in cui sono impiegati
funzionalmente nella realizzazione del piano d’impresa.
Non sono ammissibili alle agevolazioni le spese: riferite a investimenti per la sostituzione di impianti, macchinari e attrezzature, effettuate, in tutto o in parte, mediante il cosiddetto “contratto chiavi in mano”, relative a macchinari, impianti e attrezzature usati, relative a imposte e tasse.
E’ ammissibile al finanziamento anche un importo a copertura delle esigenze di capitale circolante nel limite del 20% delle spese complessivamente ritenute ammissibili. Le esigenze di capitale circolante devono essere giustificate dal piano d’impresa valutato dal Soggetto gestore. Il decreto, inoltre, modifica l’importo del finanziamento concesso che passa dal 70% all’80% delle spese ammissibili.
Per le start-up innovative localizzate nelle Regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia il finanziamento agevolato è restituito dall’impresa beneficiaria in misura parziale, per un ammontare pari al 70% rispetto al precedente 80% dell’importo del
finanziamento agevolato concesso.
A copertura delle spese destinate alla realizzazione del piano di impresa l’erogazione del finanziamento agevolato avviene su richiesta dell’impresa beneficiaria in non più di 5 stati di avanzamento lavori di importo non inferiore al 10% delle spese ammesse. Ciascuna richiesta di erogazione deve essere presentata unitamente ai titoli di spesa, anche non quietanzati purché nel limite del 30% (trenta percento) delle spese ammesse alle agevolazioni, dai quali deve risultare la sussistenza dei requisiti di ammissibilità delle spese esposte. Per ogni erogazione, ad eccezione della prima, è necessario dimostrare l’effettivo pagamento mediante l’esibizione delle relative quietanze, dei titoli di spesa presentati ai fini dell’erogazione precedente e della documentazione giustificativa ai fini dell’ammissibilità delle spese. Enunciati tali elementi, sul tema delle startup bisogna cominciare a fare qualche riflessione, ma sopratutto un confronto produttivo. All’inizio la politica e giornali hanno avuto, per ragioni
diverse, interesse a enfatizzare il fenomeno startup e lo hanno fatto fornendo dati e statistiche sbagliate che hanno creato solo confusione, ingannando il tessuto imprenditoriale sopratutto quello giovanile. Inoltre sempre più società si sono chiamate startup ma di innovativo avevano
ben poco e studi più attenti hanno fatto notare che le aziende che chiamiamo startup in realtà in molti casi altro non sono che Pmi o, più probabilmente, microimprese.
Come imparare dai nostri errori?
Una papabile soluzione è la contaminazione, o per usare una parola meno foriera di mal interpretazioni una connessione o fusione di elementi, far dialogare
scienza e umanesimo, portare l’innovazione ed allo stesso tempo creare valore umano. Gli ultimi orientamenti (non riesco a dire “trend” nda) hanno portato ad una serie di considerazioni tra le quali:
– il cambiamento trova espressione in una riorganizzazione interna dell’impresa dettata da
nuove tecnologie, big data, cloud ecc. Cambiamento come riprogrammare l’impresa con
tutto il suo valore patrimoniale ed umano;
– un numero sempre maggiore (purtroppo ancora insufficiente) di imprese tradizionali
sopravvissute alla crisi sta comprendendo la necessità e l’urgenza del cambiamento;
– le nuove tecnologie sono una leva necessaria è impensabile andare avanti senza; – è
urgente il passaggio generazionale nelle Pmi;
– bisogna abbandonare il mito della startup nata nel garage per abbracciare una via, più italiana se si vuole, che vede nell’innovazione dei processi e delle filiere tradizionali un obiettivo perseguibile, gli italiani non sono mai stati tipi alla “Steve Jobs” è inutile sognare;
– Carlo Pelanda, politologo ed economista ed accademico italiano ha dichiarato su Milano
Finanza del 10.04.2015 che: “In Italia ci sono migliaia di piccole aziende, tra i 5 e i 20 milioni di ricavi, dotate di tecnologia e knowhow esclusivi, che stanno soffrendo, e molte sono destinate a chiudere, o per ché non riescono a ottenere abbastanza credito o perché la famiglia proprietaria ha problemi nel rinnovare la governance, oppure non sono ben managerializzate. Il Paese è il più grande giacimento al mondo, nelle contingenze, di
potenziali restartup a disposizione dei fondi di investimento”.
– In mancanza di grandi imprese le due anime del paese Pmi e startup devono iniziare un
dialogo proficuo tra loro. Gli imprenditori di esperienza traghettino le nuove leve nel mondo del lavoro senza velleità o fenomini di “nonnismo” al fine di far ripartire il Bel Paese.
Detto ciò come sopra enunciato sono convinto che si può lavorare assieme e far bene impresa perché la “quarta potenza al Mondo” non può divenire un fanalino di coda.
– A cura di Alessio Mantegazza